Centoquaranta anni dopo la sua morte per vedere un Manet tocca andare al Musée d’Orsay o in altri templi della cultura mondiale, quelli che un secolo e mezzo prima lo respinsero. Oppure, più semplicemente, fare un salto alla Galleria Nazionale di Cosenza. A partire dal 24 marzo e fino al 25 aprile, infatti, tra i corridoi di Palazzo Arnone sarà possibile ammirare le creazioni del genio francese. Si tratta di trenta capolavori incisi, della prestigiosa edizione Strölin, per scoprire come la Parigi di metà ‘800 entrò nella modernità. La mostra di Cosenza si chiama Manet. Noir et Blanc. A idearla e produrla è l’Associazione N. 9, mentre la curatela è affidata ai fratelli Mario e Marco Toscano.
Per un mese, dunque, non ci sarà bisogno di arrivare fino al Metropolitan Museum di New York per godersi Il chitarrista spagnolo(1860) o a Parigi per quell’Olympia (1863) che tanto scandalo destò alla sua prima apparizione pubblica. Basterà salire a colle Triglio, nel centro storico di Cosenza, e lasciarsi catapultare nel bianco e nero di Manet. Il pittore che Baudelaire e Zola adoravano perché voleva «essere del proprio tempo e dipingere ciò che si vede, senza lasciarsi turbare dalla moda».
Esistono un prima e un dopo Édouard Manet nella pittura degli ultimi due secoli. Rivoluzionario suo malgrado, controcorrente per indole, il pittore francese ha rappresentato con la sua opera un punto di svolta per l’arte. L’Accademia però, salvo rari casi, non gli riconobbe a lungo la grandezza che avrebbe meritato (e desiderato). Manet cercava di portare sulla tela la realtà, amava dipingere all’aria aperta, venerava artisti del passato come Velasquez. Ma, al contempo, stravolgeva le aspettative di quanti si erano nutriti fino a quel momento con l’arte classica. Un amore per la vita reale, il suo, che fece innamorare del suo pennello scrittori come Baudelaire e Zola, ma faticò a incontrare i favori del grande pubblico e della critica.
E così, a lungo, nei grandi Saloni e musei per i suoi quadri non si trovò posto per colui che molti oggi considerano il padre dell’impressionismo. In realtà Manet impressionista non fu mai o, almeno, non fino in fondo. Già il fatto che usasse il nero nei suoi dipinti – colore tabù per i colleghi Renoir, Monet, Degas – rende complesso considerarlo tale. L’ammirazione nei suoi confronti da parte dei tre appena citati, però, basterebbe a quantificare il ruolo della sua arte nella nascita della celeberrima corrente pittorica. «Manet era per noi tanto importante quanto Cimabue o Giotto per gli italiani del Rinascimento», disse di lui il padre del celebre regista. E pazienza se il diretto interessato riteneva, al contrario, Pierre-Auguste «un ragazzo senza alcun talento».
Pur non trattandosi di tele – l’unico quadro del francese in Italia, salvo sporadici prestiti, è il Ritratto del Signor Arnaud a cavallo, conservato alla GAM di Milano – le opere che per un mese saranno a Cosenza non sono certo di poco conto. Come si legge nel comunicato che annuncia l’apertura dell’esposizione, infatti, «la produzione grafica di Manet, sperimentale ed innovativa, è considerata fondamentale nello sviluppo delle tecniche di stampa. Le incisioni esposte, edite nel 1905, furono stampate postume dalle tavole originali di Manet, da Alfred Strölin, importante collezionista e commerciante tedesco. Le 30 lastre pubblicate nel 1894 da Dumont (che comprendevano le 23 del portfolio curato da Suzanne Manet per Gennevilliers nel 1890) rappresentanouna raccolta esaustiva della produzione dell’artista. Vennero infine biffate dallo stesso Strölin per evitare ulteriori impressioni».
Fonte: I Calabresi
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